nelle sue linee architettoniche, col suo bel campanile, la composta facciata e le finestre a strombo, armoniosamente distribuite lungo le navate. L’interno aggiunge all’eleganza delle linee, coerenti con l’esterno, una grande suggestione che invita al raccoglimento e alla preghiera. Agli inizi del secolo scorso (1914-1919), essendo Rettore il rev. Giovanni Stefano Angioni (1877-1926), la chiesa fu sottoposta ad un radicale restauro. Il Cavalier Antonio Arangino finanziò l’intera opera. Il progettista e direttore dei lavori, l’ingegnere Riccardo Simonetti di Cagliari, si ispirò a celebri chiese sarde del XIII° secolo, sul tipo di San Pietro di Sorres in Borutta e di San Pantaleo in Dolianova.
La chiesa antica era di stile gotico-aragonese e risaliva ai secoli XIV° e XV°. Uno sguardo alla facciata consente di osservare che dove ha inizio la linea del cemento – poco sopra il portale e all’altezza dell’orologio nel campanile – lì ha termine la parte antica della chiesa.
Sopra il portale d’ingresso, si può ancora vedere, sbiadito dal tempo e dalle intemperie, l’affresco di San Michele Arcangelo, opera del pittore Antonio Ghisu di Cagliari, eseguito nel 1919.
Superati il portale e la bussola, entrando in chiesa ci si immerge in una atmosfera di profonda religiosità.
Sulla sinistra la prima cappella, dedicata in antico a S. Antonio Abate, ospita ora le tombe di Antonio Arangino e della moglie Marianna Vargiu De Arca, i mecenati aritzesi che provvidero al rifacimento della chiesa.
Segue la cappella del Sacro Cuore. Sotto la mensa dell’altare è visibile il simulacro della Beata Vergine Dormiente, “Nostra Segnora ‘e Mesaustu”. Nella parete destra una tela del pittore aritzese A. Mura (1902-1972) raffigurante l’incontro di Gesù e Maria sulla via del calvario.
La terza cappella ospita, oltre alla statua di S. Francesco, la bellissima tela di Antonio Mura raffigurante S. Ignazio da Laconi, il francescano cappuccino, fratello laico, cercatore e taumaturgo: volto scavato dalle veglie in preghiera e riarso dal sole delle strade di Cagliari. Reso sanguigno dall’ardore della fede, bruciante e semplice.
Più nascosta la cappella di S. Giuseppe, che chiude la navata. Vi è collocata la pala d’altare raffigurante il crocifisso, altra opera insigne di A. Mura realizzata nel 1944.
Sul presbiterio l’altare maggiore in marmi policromi, opera di Domenico Franco, architetto in Cagliari, realizzato fra il 1812 e il 1816. Nella nicchia centrale la statua di San Michele Arcangelo, titolare della chiesa. In alto sopra l’altare e ai lati del medesimo, l’arco e i capitelli a fregi del secolo XIV°; dietro l’altare l’abside con volta a crociera, costoloni e chiave della volta con basso rilievo di S. Michele.
Nell’area del presbiterio è attualmente collocato il pregevole organo a canne del 1739, restaurato di recente.
Nella navata di destra, a fianco del presbiterio, la cappella di S. Cristoforo. La statua del santo, alta 190 cm, colpisce per la sua forte carica espressiva. L’opera in legno policromo, è giudicata dai critici “di finissima esecuzione nella sua resa naturalistica del modellato, nella doratura e nella cromia”. Datata 1606, è attribuita al napoletano Antonio Gallo. Vi si vede l’influenza della scultura sivigliana, in particolare di quella di Juan Martinez Montañes. Non sono assenti suggestioni classiche come quelle del gruppo marmoreo del Laocoonte. È considerata una delle più belle statue del Seicento in Sardegna. Proseguendo a ritroso troviamo la cappella del Rosario con un’altra grande tela di A. Mura. La serenità della fede cristiana dell’artista, rivive nella bellezza e nella maestà del volto della Beata Vergine Maria e in quella dei santi Domenico e Caterina e di papa Giovanni XXIII°. Mura amava rendere testimonianza ad Aritzo scegliendo fra la sua gente e particolarmente tra i bambini i modelli per i suoi santi e per i suoi cherubini. L’opera è del 1968. Altre due opere minori del Mura arricchiscono la cappella. Sul lato sinistro una ispirata “Cena di Emmaus” e sul lato destro una drammatica “Deposizione della croce”,”Iscravamentu”.
La cappella successiva è quella dei ”Caduti”, per via delle lapidi che fanno memoria dei compaesani morti delle due guerre del ’15-‘18 e del ‘40-‘45.
La cappella però è dedicata alla Pietà. Vi si venera, infatti, La B. V. Maria nell’atto di accogliere sulle sue ginocchia il Figlio appena deposto dalla croce. Il gruppo ligneo policromo è opera di ignoto intagliatore, probabilmente napoletano del XVIII° secolo e appartenente alla scuola di Giuseppe Sanmartino. La forza espressiva dell’opera è di grande efficacia: “notevolissima nel modellato ed esemplare nel realismo anatomico”. Da questa cappella si accede al campanile. Le armoniose campane risalgono rispettivamente al 1605 (campana grande), 1651 (campana “de s’iscola”), 1736 (campana “de sa piedade”), 1855 (campana “de sa cheda”).
La piccola cappella del fonte battesimale chiude l’itinerario della visita all’interno della chiesa. È importante oltre che per la sacralità del luogo, per le tracce dell’antichità della chiesa stessa che qui si riscontrano. Gli “elementi architettonici” - arco e capitelli - sono quanto resta di tutta la navata destra, che doveva essere in antico costituita da cappelle con archi a pieno centro, risalente all’anno Mille.
Anche la pila dell’acqua benedetta, tra la cappella del fonte e la bussola è bella ed antica (sec.XVI°). In alto sopra la pila una lapide marmorea, in latino, ricorda l’anno della Dedicazione della chiesa avvenuta “solemni ritu”, con rito solenne! Era il giorno 19 di settembre dell’anno del Signore 1745, lo stesso anno in cui fu consacrata la cattedrale di Oristano.
Prima di lasciare la chiesa ancora uno sguardo d’insieme. Meritano di essere ammirati anche i bei lampadari. Quelli a muro in particolare, in ferro battuto e ottone, raffiguranti tralci di vite, sono stati realizzati, su disegno di Antonio Mura, dall’artigiano aritzese Peppe ’Acca. Una sosta in sacrestia ci offre subito di poter ammirare due bellissimi mobili per arredi e paramenti sacri del XIX° secolo. Quello più piccolo è datato 1851. Entrambi sono opera del falegname Francesco Zaccheddu.
Sulla parete sinistra due simulacri di San Michele Arcangelo. Il più grande e antico dei due, databile al tardo Seicento, di autore ignoto, appartiene alla scuola napoletana con le solite influenze spagnole. Approssimativo nella struttura anatomica ma non privo di fierezza, ha una splendida damaschinatura. Il secondo più piccolo, in legno policromo, opera di ignoto artista non sardo della seconda metà del Settecento, si presenta molto vivace ed elegante nel panneggio.
In sacrestia sono conservate anche altre statue di notevole pregio.